venerdì 29 gennaio 2010

TEMPORANEAMENTE (?) CHIUSO PER MORTE INTERIORE

martedì 3 novembre 2009

tratto da "il libro dell'inquietudine" di Fernando Pessoa

Questa è una giornata nella quale mi pesa, come un ingresso in carcere, la monotonia di tutto. Ma la monotonia di tutto non è altro che la monotonia di me stesso. Ciascun volto, anche lo stesso che abbiamo visto ieri, oggi è un altro, perché oggi non è ieri. Ogni giorno è il giorno che è, e non ce n’è mai stato un altro uguale al mondo. L’identità è solo nella nostra anima (l’identità sentita con se stessa, anche se falsa), attraverso la quale tutto si assomiglia e si semplifica. Il mondo è cose staccate e spigoli distinti; ma se siamo miopi, esso è una nebbia insufficiente e continua.
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo. Non voglio più vedere questi volti, queste abitudini e questi giorni. Voglio riposarmi, da estraneo, dalla mia organica simulazione. Voglio sentire il sonno che arriva come vita e non come riposo. Una capanna in riva al mare, perfino una grotta sul fianco rugoso di una montagna, mi può dare questo. Purtroppo soltanto la mia volontà non me lo può dare.
La schiavitù è la legge della vita, e non c’è altra legge perché questa deve compiersi, senza possibile rivolta o rifugio da trovare. Certuni nascono schiavi, altri diventano schiavi, ad altri ancora la schiavitù viene imposta. L’amore codardo che tutti noi proviamo per la libertà (libertà che, se la conoscessimo, troveremmo strana perché nuova e la rifiuteremmo) è il vero indizio del peso della nostra schiavitù. Io stesso, che ho appena detto che desidererei una capanna o una grotta per essere libero dalla noia di tutto, che poi è la noia che provo per me, oserei forse andare in quella capanna o in quella grotta consapevole che, dato che la noia mi appartiene, essa sarebbe sempre presente? Io stesso, che soffoco dove sono e perché sono, dove mai respirerei meglio se la malattia è nei miei polmoni e non nelle cose che mi circondano? Io stesso, che ardentemente sogno il sole puro e i campi liberi, il mare visibile e l’orizzonte largo, chissà se mi adatterei al letto o al cibo o a non dover scendere otto rampe di scale per arrivare alla strada o a non entrare nella tabaccheria dell’angolo o a non scambiar il buongiorno con l’ozioso barbiere.
Quello che ci circonda diventa parte di noi stessi, si infiltra in noi nella sensazione della carne e della vita e, quale bava del grande Ragno, ci unisce in modo sottile a ciò che è prossimo, imprigionandoci in un letto lieve di morte lenta dove dondoliamo al vento. Tutto è noi e noi siamo tutto; ma a che serve questo, se tutto è niente? Un raggio di sole, una nuvola il cui passaggio è rivelato da un’improvvisa ombra, una brezza che si leva, il silenzio che segue quando essa cessa, qualche volto, qualche voce, il riso casuale fra le voci che parlano: e poi la notte nella quale emergono senza senso i geroglifici infranti delle stelle.

sabato 31 ottobre 2009

Lettera ai rettori delle università Europee di Antonin Artaud

I bambini sanno qualcosa fino al giorno in cui li si manda a scuola.

A partire dal giorno in cui sono affidati alle mani di un professore, dimenticano.

Le scuole sono un fascismo della coscienza, questa vecchia dittatura fossilizzata sulla puttana dell'innato pedagogo.

Il bambino di sei anni che per la prima volta entra in una scuola avrebbe molto da insegnare al suo presunto maestro, se solo questi avesse la saggezza e l'onestà di credere che c'è qualcosa [da] imparare dalla coscienza di un nuovo nato.

Ma qual è il maestro che avrà lo spirito di riporre la chiave sulla porta mettendosi lui stesso a scuola delle future natalità?

La disgrazia, signori rettori delle Università Europee, è che non ci sarà più alcuna nascita, perché a forza di tirare la corda ...

E non è alla scuola delle nascite che vorrei mettervi, io, magnifici rettori, poiché per la scienza imbecille che rappresentate non è più tempo di nascere, è tempo di morire.

mercoledì 28 ottobre 2009

Quelli che tricoloreggiano di Paolo Pietrangeli

Quelli che tricoloreggiano
Quelli che patriovaneggiano
Che l'Italia voglion forte
Polizia sempre alle porte.

Quelli che han l'onore addosso
Ben cucito nei calzoni
E lo tiran sempre fuori
Specie quando fan pipì

Quelli che han buone maniere
ed a tavola san stare
Quelli hanno da mangiare
Contro quelli che ne han no

Quelli che starnazzan sempre
"Siamo in mano ai comunisti!"
E starebbero ben freschi
Se davver fosse così.

Quelli che non han nient'altro
Che non sian molti denari
Per comprarci tutti interi
Per non farci dir di no

Questi son nostri padroni
O se no son servi loro
L'esser servi è un gran decoro
Ci si acquista in dignità
L'esser servi è un gran decoro
Ci si acquista in dignità.

domenica 27 settembre 2009

E io ci sto di Rino Gaetano

Mi alzo al mattino con una nuova
Illusione, prendo il 109 per la Rivoluzione,
e sono soddisfatto, un poco saggio, un poco matto
Penso che fra vent'anni finiranno I miei affanni
Ma ci ripenso però, mi guardo intorno per un po'
e mi accorgo che son solo,
in fondo è bella però, la mia età e io ci sto
Si dice che in America tutto è Ricco tutto è nuovo,
puoi salire In teleferica
sui grattacieli e farti un uovo,
mentre cerco il rock'n'Roll al bar e nei metrò,
cerco una bandiera diversa senza sangue sempre tersa
Ma ci ripenso però, mi guardo intorno per un po'
e mi accorgo che son solo,
In fondo è bello però , il mio Paese e io ci sto
Mi dicono alla radio statti calmo statti buono
non esser scalmanato stai tranquillo e fatti uomo
ma io con la mia guerra voglio andare sempre avanti,
e costi quel che costi la vincerò non ci son santi
Perché se invece però, mi guardo intorno per un po'
e mi accorgo che son solo,
ma in fondo è bella però, la mia guerra e io ci sto
cerco una donna che sia la meglio
che mi sorrida al mio risveglio
e che sia bella come il sole d'agosto
intelligente si sa
ma in fondo è bella però, la mia donna e io ci sto

giovedì 24 settembre 2009

Frullato cardiaco

Metti il mio cuore in un frullatore
che non è così duro quanto appare
io sono l’uomo dell’eterno errore
che impara poco da questo soffrire
ed anche se dici che non devo leccare
quelle ferite che si potrebbero evitare
temo che sia difficile, credimi, restare
in equilibrio su un filo di parole buone
quando soffia il vento e fuori piove
e non m’importa, giuro, di avere ragione
se scrivo queste lettere nuove
conosco il prezzo dell’Amore
che pago con monete di mediocrità
e se per caso questo frullato
risulterà alquanto scipito
aggiungi un po’ del tuo divino sorriso
che tanto è infinito anche quando non c’è
intanto io camminerò per la vita
come un cieco in una pinacoteca
rovistando nel cassonetto dei rifiuti
dove stanno a marcire i ricordi
sognando lobotomie obsolete
ed imparando a tentare d’imparare
ché dal labirinto prima o poi s’uscirà.

domenica 6 settembre 2009

La calunnia è un venticello tratta dal barbiere di Siviglia di Rossini

La calunnia è un venticello
Un'auretta assai gentile
Che insensibile sottile
Leggermente dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
Sotto voce sibillando
Va scorrendo, va ronzando,
Nelle orecchie della gente
S'introduce destramente,
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
Lo schiamazzo va crescendo:
Prende forza a poco a poco,
Scorre già di loco in loco,
Sembra il tuono, la tempesta
Che nel sen della foresta,
Va fischiando, brontolando,
E ti fa d'orror gelar.
Alla fin trabocca, e scoppia,
Si propaga si raddoppia
E produce un'esplosione
Come un colpo di cannone,
Un tremuoto, un temporale,
Un tumulto generale
Che fa l'aria rimbombar.
E il meschino calunniato
Avvilito, calpestato
Sotto il pubblico flagello
Per gran sorte va a crepar.

venerdì 28 agosto 2009

Double-face

È da molto, molto tempo che non vedo
Un’alba accendersi dietro un vetro di cielo
Perché sono occupato a mostrare
L’altra parte, l’altra parte delle cose
Convinto che la vita possa essere giocata
Come una partita di un gioco qualunque
A costo di perderci la faccia, decidendo
Le sorti mutevoli della Morale
Le regole incerte del bene e del male
Coprendo con un passamontagna di seta
L’integrità che si disintegra come uno specchio di Alice
da cui fuoriescono frammenti di mondi
e di genti, e di idee, e di idiozie
che non sanno se portare pace
o se divorare la Giustizia della Società
di questa Società che non ho scelto io
e che democraticamente mi convince
a conformarmi al suo splendore Economico-Giuridico
creando il consumatore a sua immagine e somiglianza
ma fortunatamente ogni tanto non tutto fila dritto
e la Società viene infettata da un virus “anti qualcosa”
destabilizzatore del Sistema Sociale
spesso destinato ad un precoce tramonto
per cause ancora da accertare
come quel tale che è morto ammazzato
quell’eroe che è stato arrestato
o quell’individuo sapientemente imbavagliato
che, stanco di tutto, decide di diventare maturo
e preferisce credere che il gioco sia finito
e fa tutto in modo serio e affannato, per il bene suo.
Ma io sono ancora occupato a mostrare
L’altro lato, l’altro lato delle cose,
facendo un po’ a modo mio, non so ancora per quanto.
E perciò, per me, non è ancora tempo di vedere
Nessun’alba dietro nessun vetro di cielo
Finchè non mi avranno mostrato l’altra faccia
L’altra faccia ancora delle cose.

martedì 18 agosto 2009

Pierangelo Bertoli "A muso duro"

E adesso che farò, non so che dire
e ho freddo come quando stavo solo
ho sempre scritto i versi con la penna
non ordini precisi di lavoro.
Ho sempre odiato i porci ed i ruffiani
e quelli che rubavano un salario
i falsi che si fanno una carriera
con certe prestazioni fuori orario
Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Ho speso quattro secoli di vita
e ho fatto mille viaggi nei deserti
perché volevo dire ciò che penso
volevo andare avanti ad occhi aperti
adesso dovrei fare le canzoni
con i dosaggi esatti degli esperti
magari poi vestirmi come un fesso
per fare il deficiente nei concerti.
Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Non so se sono stato mai poeta
e non mi importa niente di saperlo
riempirò i bicchieri del mio vino
non so com'è però vi invito a berlo
e le masturbazioni celebrali
le lascio a chi è maturo al punto giusto
le mie canzoni voglio raccontarle
a chi sa masturbarsi per il gusto.
Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
E non so se avrò gli amici a farmi il coro
o se avrò soltanto volti sconosciuti
canterò le mie canzoni a tutti loro
e alla fine della strada
potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.

Leo Ferré "Col tempo sai"

Col tempo sai
col tempo tutto se ne va
non ricordi più il viso
non ricordi la voce
quando il cuore ormai tace
a che serve cercare ti lasci andare
e forse é meglio così
Col tempo sai
col tempo tutto se ne va
l'altro che adoravi che cercavi nel buio
l'altro che indovinavi in un batter di ciglia
tra le frasi e le righe e il fondotinta
di promesse agghindate per uscire a ballare
col tempo sai tutto scompare.
Col tempo sai
col tempo tutto se ne va
ogni cosa appassisce io mi scopro a frugare
in vetrine di morte quando il sabato sera
la tenerezza rimane senza compagnia.
Col tempo sai
col tempo tutto se ne va
l'altro a cui tu credevi anche a un colpo di tosse
l'altro che ricoprivi di gioielli e di vento
ed avresti impegnato anche l'anima al monte
per cui ti trascinavi alla pari di un cane
Col tempo sai tutto va bene.
Col tempo sai
col tempo tutto se ne va
non ricordi più il fuoco
non ricordi le voci della gente da poco
e il loro sussurrare
non ritardare copriti col freddo che fà.
Col tempo sai
col tempo tutto se ne va
e ti senti il biancore di un cavallo sfiancato
in un letto straniero ti senti gelato
solitario ma in fondo in pace col mondo
e ti senti tradito dagli anni perduti
allora tu col tempo sai non ami più

venerdì 19 giugno 2009

la danza dell'insonnia

Ho tagliato il manto della notte
Con forbici d’oro
Incatenato al soffitto capovolto
Rimbecillito dal troppo silenzio
Canalizzando nel vuoto
La quintessenza del nulla
Stanco dell’infinito
E di tutte le idiozie dette in modo serio
Vegliando sempre
Nonostante l’ebbrezza del sonno.

L’umanità rimprovera se stessa
Davanti uno specchio ereditato
Senza sapersi riconoscere
Peggio di un vampiro invecchiato.

lunedì 15 giugno 2009

Il paese è reale di Afterhours

Dici sempre le preghiere
Conti sempre fino a dieci e
Preghi ancora che
Non tocchi a te
Decidere
Piangi fermo in tangenziale
Inseguivi una cazzata
Era splendida e dorata
Fresca e avvelenata
Ma il paese sa affondare
Tutto intorno a te a ballare
Bestemmiando disprezzare
E riderci un po' su
E tu vuoi fare qualcosa che serva
E farlo prima che il tuo amore si perda
Non ti accorgi che se lo vuoi tu
Quel che valeva poi non vale più
Se ti han detto resta a casa
Vola basso non scocciare
Se disprezzi puoi comprare
Se vale tutto niente vale
Se non sai più se sei un uomo
Se hai paura di sbagliare
Se hai solo voglia di pensare
Che fra poco è primavera
Adesso fa qualcosa che serva
Che è anche per te se il tuo paese è una merda
C'è una strada in mezzo al niente
Piena e vuota della gente
E non porta fino a casa
Se non ci vai tu
Io voglio far qualcosa che serva
Fammi far solo una cosa che serva
Dir la verità è un atto d'amore
Fatto per la nostra rabbia che muore

domenica 10 maggio 2009

Funerali

Nasco oggi e muoio domani
È successo pure ieri
Se ti viene difficile crederci
Puoi chiedermi quel che ti pare
E ti risponderò certamente
Come si risponde ai pazzi

La memoria è solo un ricordo
Mi disse tempo addietro un amico
Che per ora ama starsene attorno
A una piazza piena di sputi ed eternità
Soddisfatto della sua insoddisfazione

Si può morire anche continuando a respirare
Si può scappare anche restando immobili
Si può mentire anche dicendo la verità

Io non ti credo quando mi dici
Che non hai mai conati di rimpianto

Il rimpianto è desiderio & fantasia

venerdì 10 aprile 2009

Confessioni di un teppista di Sergej Esenin

Non a tutti è dato cantare,
E non tutti possono cadere come una mela
Sui piedi degli altri.
Questa è la più grande confessione,
Che mai teppista possa rivelarvi.
Io porto a bella posta la testa spettinata,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace illuminare nelle tenebre
L’autunno spoglio delle vostre anime.
E mi piace quando una sassaiola di insulti
Mi vola contro, come grandine di rutilante bufera,
Solo allora stringo più forte tra le mani
La bolla tremula dei miei capelli.
È così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il suono rauco dell’ontano,
Che da qualche parte vivono per me padre e madre,
Che se ne fregano di tutti i miei versi,
E che a loro sono caro come il campo e la carne,
Come la pioggia fina che rende morbido il grano verde a primavera.
Con le loro forche verrebbero a infilzarvi
Per ogni vostro grido scagliato contro di me.
Miei poveri, poveri contadini!
Voi, di sicuro, siete diventati brutti,
E temete ancora Dio e le viscere delle paludi.
O, almeno se poteste comprendere,
Che vostro figlio in Russia
È il più grande tra i poeti!
Non vi si raggelava il cuore per lui,
Quando le gambe nude
Immergeva nelle pozzanghere autunnali?
Ora egli porta il cilindro
E calza scarpe di vernice.
Ma vive in lui ancora la bramosia
Del monello di campagna.
Ad ogni mucca sull’insegna di macelleria
Da lontano fa un inchino.
E incontrando i cocchieri in piazza,
ricorda l’odore del letame dei campi nativi,
Ed è pronto a reggere la coda d’ogni cavallo,
come fosse uno strascico nuziale.
Amo la patria!
Amo molto la patria!
Anche con la sua tristezza di salice rugginoso.
Adoro i grugni infangati dei maiali
E nel silenzio della notte, la voce limpida dei rospi.
Sono teneramente malato di ricordi infantili,
Sogno delle sere d’aprile la nebbia e l’umido.
Come per scaldarsi alle fiamme del tramonto
S’è accoccolato il nostro acero.
Ah, salendo sui suoi rami quante uova,
Dai nidi ho rubato alle cornacchie!
È lo stesso d’un tempo, con la verde cima?
È sempre forte la sua corteccia come prima?
E tu, mio amato,
Mio fedele cane pezzato?!
La vecchiaia ti ha reso rauco e cieco
Vai per il cortile trascinando la coda penzolante,
E non senti più a fiuto dove sono portone e stalla.
O come mi è cara quella birichinata,
Quando si rubava una crosta di pane alla mamma,
e a turno la mordevamo senza disgusto alcuno.
Io sono sempre lo stesso.
Con lo stesso cuore.
Simili a fiordalisi nella segale fioriscono gli occhi nel viso.
Srotolando stuoie d’oro di versi,
Vorrei dirvi qualcosa di tenero.
Buona notte!
A voi tutti buona notte!
Più non tintinna nell’erba la falce dell’aurora…
Oggi avrei una gran voglia di pisciare
Dalla mia finestra sulla luna.
Una luce blu, una luce così blu!
In così tanto blu anche morire non dispiace.
Non m’importa, se ho l’aria d’un cinico
Che si è appeso una lanterna al sedere!
Mio buon vecchio e sfinito Pegaso,
M’occorre davvero il tuo trotto morbido?
Io sono venuto come un maestro severo,
A cantare e celebrare i topi.
Come un agosto, la mia testa,
Versa vino di capelli in tempesta.
Voglio essere una gialla velatura
Verso il paese per cui navighiamo.

lunedì 2 marzo 2009

TELEVISION (Tom Verlaine) "I see no evil"

NON VEDO NESSUN MALE

ciò che voglio lo voglio ora
ed è molto di più di "in qualche modo"
voglio volare
volare una fontana
saltare, scalare una montagna

io capisco ogni cosa NON VEDO
impulsi distruttivi NON VEDO
sembra così perfetto
NON VEDO NON VEDO NESSUN MALE

ho delle idee
me ne viene una
voglio una piccola e bella barca
fatta di oceano
io ti capisco
tu sei così raffinata ed elegante
hai delle buone reazioni
al suono delle tue chiacchiere

non dire l'inconscio
non dire il fato
se lo dici
lasciamo andare via da questa stanza
perchè ciò che voglio lo voglio ora
ed è molto più che "in qualche modo"

mi fa impazzire la persona che amo
non vedo nessun male
mi fanno impazzire quelli che hanno un occhio solo
non vedo nessun male
distruggi il futuro con chi ami
distruggi il futuro

sabato 7 febbraio 2009

Steven Weinberg (Nobel per la fisica)

La religione è un insulto alla dignità umana. Senza di essa, avremmo persone buone che fanno buone azioni e persone malvagie che compiono atti malvagi. Ma per persone buone lasciarsi trascinare a fare azioni malvage puo' avvenire soltanto per causa della religione.

sabato 6 dicembre 2008

Aborti

E’ da qualche tempo che reprimo il mio istinto di scrivere. Non trovo più soddisfazione alcuna nel buttar giù parole. Eppure ne ho la testa piena zeppa. Ne vedo nascere, crescere e riprodurre un’infinità che però preferisco lasciare marcire in chissà quale angolo buio. È una “terapia” che non funziona più. Un gioco passato di moda. Un’aspirazione velleitaria. E così scrivo per poi cancellare, cancello per poi scrivere, fino a quando non mi sento ridicolo e decido di chiudere tutto. O strappare tutto, dipende. Ma mi sento talmente pieno che potrei esplodere. Se questo è il famoso “caos dentro di sé per partorire una stella danzante”, di Nicciana intuizione - allora potrei essere sulla buona strada. Occorre tuttavia un po’ di onestà: a volte un parto si rivela solo un aborto!

Charles Bukowski "Ho ucciso un uomo a Reno"

bukowski pianse quando judy garland cantò al philarmonic di new york; bukowski pianse quando shirley temple cantò "I got animal crackers in my soup"; bukowski ha pianto in squallidi albergucci; bukowski non sa vestire, bukowski non sa parlare, bukowski ha paura delle donne, bukowski ha lo stomaco in cattivo arnese, bukowski è pieno di terrori, odia i vocabolari, le monache, le monete, gli autobus, le chiese le panchine del parco, i ragni, le mosche, le pulci, i depravati; bukowski non ha fatto la guerra. bukowski è vecchio, bukowski non fa volare un aquilone da 45 anni; se bukowski fosse una scimmia lo caccerebbero via dalla tribù..
[…]per bukowski topolino è un nazista; bukowski ha fatto il pagliaccio alla fagiolata di barney; bukowski ha fatto la figura del somaro alla tavernetta di shelly; bukowski è geloso di ginsberg, bukowski è invidioso della cadillac mod. '69, bukowski non capisce rimbaud; bukowski si pulisce il culo con carta da pacchi, bukowski sarà morto fra 5 anni, è dal 1963 che bukowski non scrive una poesia decente, bukowski ha pianto quando judy garland...ha ucciso un uomo a reno […] bukowski, il grande scrittore; una statua di bukowski al cremlino, che si spara una sega; bukowski e castro, gruppo statuario ai giardini pubblici dell'avana, coperto di cacca di uccelli; bukowski e castro in tandem che pedalano verso la vittoria: bukowski dietro; bukowski che fa il bagno in un nudo di rigogoli; bukowski che frusta una mulatta di 19 anni con un frustino da domatore, una mulatta dall'enorme seno, una mulatta che legge rimbaud; bukowski cucù nel salotto del mondo si domanda chi avrò spento la fortuna...bukowski commosso da judy garland, quando ormai era tardi per tutti.
[…] bukowski porta le mutande nere, bukowski ha paura di volare in aereo. bukowski odia babbo natale. bukowski intaglia figurine deformi nella gomma da cancellare. quando l'acqua sgocciola, bukowski piange. quando bukowski piange, l'acqua sgocciola. oh sancta sanctorum, oh sancta scrotorum, oh fontane zampillanti, oh zampilli di sperma, oh gran bruttezza dell'uomo dovunque come stronzo di cane che calpesti al mattino non avendolo visto un'altra volta, oh possente polizia, oh armi potentissime, oh potente dittatore, oh dannati imbecilli che siete dovunque, oh povera piovra solitaria, oh il ticchettio delle lancette che ci trafigge tutti, tutti, equilibrati e squilibrati, santi e stitici, oh barboni, oh vagabondi che giacete nei vicoli di miseria d'un mondo dorato, oh i figli che diventeranno brutti, oh i brutti che imbruttiranno ancora, oh la tristezza e le sciabole e le pareti che si richiudono - niente babbo natale, niente cenerentola, niente grandi maestri d'ogni tempo - cucù - solo merda e frustrate per i cani e i bambini, solo merda e smedamento; solo dottori senza pazienti, solo nudi senza pioggia, giorni senza giorni, oh dio onnipotente che ci hai dato tutto questo.
quando invaderemo la tua eccelsa reggia giudia, fra i tuoi angeli timbracartellini, voglio udire una volta la tua voce che invoca
pietà
pietà
pietà
e misericordia per te stesso e per noi e per quel che ti faremo. ero svoltato per irola street, poi svoltai per normandie street, parcheggiai ed entrai in casa e mi sedetti a ascoltare il telefono che badava a squillare.
charles bukowski

martedì 28 ottobre 2008

Friedrich Nietzsche "La gaia scienza, Libro IV, n. 329"

C'è una selvatichezza tutta indiana, tipica del sangue pellerossa, nel modo con cui gli americani anelano all'oro; e il loro furibondo lavoro senza respiro - il vizio peculiare del nuovo mondo - comincia già per contagio a inselvatichire la vecchia Europa e a estendere su di essa una prodigiosa assenza di spiritualità. Ci si vergogna già oggi del riposo, il lungo meditare crea quasi rimorsi di coscienza. Si pensa con l'orologio alla mano, come si mangia a mezzogiorno appuntando l'occhio sul bollettino di Borsa; si vive come uno che continuamente «potrebbe farsi sfuggire» qualche cosa. «Meglio fare una qualsiasi cosa che nulla» - anche questo principio è una regola per dare il colpo di grazia a ogni educazione e ogni gusto superiore. E come tutte le forme vanno visibilmente in rovina in questa fretta di chi lavora, così anche il senso stesso della forma, l'orecchio e l'occhio per la melodia dei movimenti, vanno in rovina. La prova di ciò sta nella grossolana chiarezza oggi pretesa ovunque, in tutte le situazioni in cui l'uomo vuol essere onesto con l'uomo, nei rapporti con amici, donne, parenti, bambini, insegnanti, scolari, condottieri e principi: non si ha più tempo né energia per il cerimoniale, per i giri tortuosi della cortesia, per ogni esprit nella conversazione, e sopratutto per ogni otium. Poiché la vita a caccia di guadagno costringe continuamente a prodigarsi fino all'esaurimento in un costante fingere, abbindolare o prevenire: la virtù vera è ora fare qualcosa in minor tempo di un altro e così ci sono molto raramente ore di consentita onestà; in queste, tuttavia, si è stanchi e non ci si vorrebbe soltanto lasciare andare, ma buttare distesi pesantemente in lungo e in largo. [...] Se esiste ancora un piacere nello stare in società e nelle arti, è un piacere quale se lo sanno procurare schiavi stremati dal lavoro. Che vergogna, questa parsimonia della «gioia» nei nostri uomini colti e non colti! Oh, che vergogna questo crescente venire in sospetto di ogni gioia! Il lavoro ha sempre di più dalla sua tutta la buona coscienza: l'inclinazione alla gioia si chiama già «bisogno di ricreazione» e comincia a vergognarsi di se stessa. «È un dovere verso la nostra salute», si dice quando si è sorpresi durante una gita in campagna. Anzi, si potrebbe ben presto andare così lontano da non cedere a una inclinazione alla vita contemplativa (vale a dire all'andare a passeggio, con pensieri e amici), senza disprezzare se stessi e senza cattiva coscienza. Ebbene! Una volta era tutto in contrario: era il lavoro ad aver su di sé la cattiva coscienza. Un uomo di buoni natali nascondeva il suo lavoro quando le necessità lo costringevano a lavorare. Lo schiavo lavorava oppresso dal sentimento di fare qualcosa di spregevole. «La nobiltà e l'onore sono soltanto nell'otium e nel bellum», così suonava la voce dell'antico pregiudizio.

sabato 25 ottobre 2008

Giorgio Gaber "Non è più il momento".

Forse troppo in anticipo coi tempi, voglio dedicare queste parole di Gaber a tutti i miei amici che si trovano adesso sparsi qua e là nel mondo. E a tutti quelli che si trovano adesso avvolti dentro se stessi. E a me.
Consapevole, tuttavia, che comunque è ancora il momento.

Caro amico, sei messo male
sei vittima di un tempo un po’ sbagliato
un tempo dove tutto si è appiattito
dove ciò che aveva un senso si è deteriorato.
E se ti viene qualche idea geniale buttala via
perché qualsiasi comportamento
c’ha già il suo riferimento
all’idiozia.

Non è più il momento
di fare lunghe discussioni
di fare ipotesi sociali
o confessioni personali.

Non è più il momento
di fare inutili teorie
né di cantare una canzone
o di comprarsi un cane.

Non è più il momento
di fare tristi seminari
di scrivere sui muri
non ha più senso neanche la follia.

Non è più il momento
di dedicarsi ad una donna
o a qualcos’altro di importante
non è più il momento per niente.

In mezzo a tanta confusione
sono affogate le tue idee
e come chi è stato tradito da una donna perbene
tu ora pensi che tutte le donne siano puttane.

Razza già finita senza neanche cominciare
razza disossata già in attesa di morire.
No, non fa male credere
fa molto male credere male.

Però fa un certo effetto
ritrovarsi a ricordare
e più che altro a dire
che era molto meglio qualche anno fa.

Non è più il momento
di generose aggregazioni
di noiosissime riunioni
né di analisti, né di fantasia.

Non è più il momento
di aver fiducia nei contatti
di ritentare la comune
e di dare del tu a tutti.

Non è più il momento
c’è solo un po’ di nostalgia
stava per nascere qualcosa
la nostra rabbia era allegria.

Per tenerci in vita
ci bastava una cazzata
non si sa perché improvvisamente
non è più il momento per niente.

Quella magnifica illusione
non era mica un’idiozia
e tu che sei stato tradito nella tua aspirazione
ora pensi che tutte le idee siano coglione.

Razza già finita senza neanche cominciare
razza disossata già in attesa di morire.
No, non fa male credere
fa molto male credere male.

No, non fa male credere
fa molto male credere male.

giovedì 9 ottobre 2008

Versi a zonzo

Vado, incauto, in giro per il mondo
In giro per un mondo. In giro.

Innaffiando la superficie delle coscienze
Con spiegazioni dall’alito cattivo
Rischio di dissolvere le amare
Verità Interiori; l’amore
per le Verità esteriori.

Blaterare è un difetto
Classico.
Il silenzio porta
Sospetto.
La luna, in estate, pare più bella
La chiarezza
È un lusso
Che ha un prezzo stellare, si, le stelle!

Se dovessi varcare la soglia della follia
La soglia della morte
O la soglia della Santità
Prima di aver volato con le mie ali di carta
Dite a mia madre che fondamentalmente
ho goduto abbastanza.

martedì 30 settembre 2008

Bob Dylan "Just like a woman"

PROPRIO COME UNA DONNA

Nessuno sente alcun dolore stanotte
come me che me ne sto sotto la pioggia
tutti sanno
che la bimba ha nuovi abiti
ma ho appena visto i suoi nastri ed i suoi fiocchi
cadere dai suoi riccioli

lei prende proprio come una donna, sì
lei fa l’amore proprio come una donna, sì
e soffre proprio come una donna
ma piange come una ragazzina

Mary la regina è mia amica
sì, credo che andrò di nuovo a trovarla
nessuno deve indovinare
che la bambina non riuscirà ad essere felice
finchè finalmente vedrà
che è come tutti gli altri
con la sua nebbia, la sua anfetamina e le sue perle

lei prende proprio come una donna, sì
lei fa l’amore proprio come una donna, sì
e soffre proprio come una donna
ma piange come una ragazzina

Stava piovendo fin dall’inizio
ed io ero lì che morivo di sete
così sono entrato
e la tua antica maledizione ferisce
ma quel che è peggio
è questo dolore
Non posso restare qui
è chiaro che proprio non ci riesco

sì credo sia ora per noi di lasciarci
quando ci riincontreremo e ci presenteranno
come amici
per piacere non far capire che mi conoscevi
quando io ero affamato ed era il tuo mondo

ah tu fingi proprio come una donna, sì
tu fai l’amore proprio come una donna, sì
poi soffri proprio come una donna
ma piangi come una ragazzina

lunedì 15 settembre 2008

leonard Cohen "Bird on a wire"

UN UCCELLO SU UN FILO

Come un uccello su un filo
Come un ubriaco che canta in coro a mezzanotte
A modo mio, ho provato ad essere libero.
Come un verme infilzato all'amo
Come un cavaliere preso da qualche antico libro
Ho conservato i miei nastri per te.

Se sono stato prepotente
Spero tu riesca a passarci sopra
Se sono stato falso
Spero tu sappia che non l'ho mai fatto con te.

Come un bambino nato morto
Come un animale feroce col suo corno
Ho fatto a pezzi chiunque cercasse di colpirmi.
Ma credo ciecamente in questa canzone
E in tutto quel che ho fatto di sbagliato
Ti ripagherò di tutto.

Ho visto un mendicante appoggiato alla sua gruccia
Mi ha detto: "Non dovresti chiedere così tanto."
E una graziosa donna sporgendosi dalla sua porta buia,
Mi ha urlato: "Hey, perché non chiedere di più?"

Come un uccello su un filo
Come un ubriaco che canta in coro a mezzanotte
A modo mio, ho provato ad essere libero.

domenica 13 luglio 2008

DELIRI di Albert Camus

Quando il pazzo è entrato nella mia stanza ero molto triste. Ero triste perché non sapevo che cosa volevo essere pur sentendo molto vivamente che non volevo restare ciò che ero. Cercavo il senso della vita, di questa vita che non conoscevo.
Proprio allora il pazzo è entrato nella mia stanza e mi ha detto:
<< Tu non potrai mai essere felice se continui a cercare di che cosa sia fatta la felicità. Non potrai mai vivere se cerchi il senso della vita. E anche le più feconde emozioni ti sfuggiranno se le vuoi analizzare. Ascolta la mia pazzia. Il non sapere determina una felice condizione della mente. Il sapere, che comunemente si crede un progresso, è solo un asservimento di questa mente. Rifiutare di sapere è un affrancamento, un definitivo passo in avanti e una liberazione dell'anima. E sono felice perchè non tento di arrivare alla felicità cercandone gli elementi >>.
Spazientito da tanta sicurezza, dissi al pazzo:
<< ma la tua posizione di fronte alla vita si basa su una teoria. Non è un problema anche questa teoria? Che cosa fai se non discutere anche in questo momento della vita? >>.
E il pazzo mi ha risposto:
<< Ti ho detto tutto ciò perchè per un attimo ho abbandonato la mia pazzia per meglio farmi comprendere da te. Ma appena uscito dalla tua stanza sarò di nuovo me stesso e mi comporterò da pazzo. Vivrò senza saperlo. Adesso sono capace di sdoppiarmi: so di essere pazzo. Ma tra qualche minuto non saprò nulla. La mia mente non elaborerà più. Registrerà. Ma - mentre oggi mi sdoppio volontariamente - ci sono giorni in cui questo mi succede mio malgrado. Allora sono debole e vile. In quei momenti ti assomiglio. Ma non è nulla. Ti voglio anche confidare il segreto della mia felicità. Sono il pazzo e amo con un amore universale. La tua disgrazia sta nel non amare pienamente. Tu sei debole ed ogni debolezza richiede amore. Temo però che anche amando tu ti chieda le ragioni di questo amore >>.
Il pazzo aveva ragione. Avrei voluto che avesse torto. Mi guardava e nei suoi occhi vedevo la fiamma dell’amore universale. Amava tutto. Accettava tutto. In quel momento mi amava. Ho chiuso gli occhi per non conoscere a mia volta, per poco che fosse, questo amore universale. Non ho voluto bruciare e sono rimasto solo nella mia stanza, con l’unica consolazione della mia debolezza e della voluttà della mia debolezza.

Ho atteso a lungo il pazzo. Avevo bisogno della sua sola presenza. Ma non veniva e mi consolavo pensando che viveva intensamente e che era felice.
Ma un giorno venne. Era triste e stanco ed io capii che soffriva di uno di quegli stati di depressione di cui mi aveva parlato.
Mi ha detto:
<< Non sempre la penso allo stesso modo, ma stamattina ho una gran voglia di essere come tutti quanti. Vorrei avere moglie e figli, guadagnare dei soldi, avere un nome e la considerazione della gene per bene. Ma sono costretto ad accorgermi che questo desiderio è un segno d’originalità e che è una pazzia in più… E così capisci il mio tormento >>. Il pazzo era molto dolce. Passeggiava nella mia stanza. Steso sul letto, lo ascoltavo e lo guardavo. In quel momento lo amavo molto.
<< D’altronde >> riprese << ne soffro come soffro di ogni contraddizione. Dentro di me concilio tutto. Sono il conciliatore. Ma naturalmente non posso distruggere le contraddizioni esterne. Esse sono l’essenza stessa della vita e davanti a loro io sono impotente. Perciò il mio tormento è inguaribile. Vedo dunque nella tua biblioteca i libri che preferisci: ti insegnano a disprezzare i libri. È inconcepibile. >>
<< Forse li amo proprio per questa contraddizione >> dissi. Il pazzo divenne sprezzante:
<< Non credere che il paradosso ti darà un’originalità. Credi al buon senso >>.
Mi ricordai allora che aveva voglia di essere come tutti quanti – un lungo silenzio. Il pazzo parlò così:
<< Penso a queste contraddizioni, penso alla vita e mi amareggio perrchè pensare alla vita significa ancora vivere. Vago in questo vicolo cieco e incontro altri vagabondi che invidiano come me quelli che non pensano e stanno laggiù a bere il sole a lunghe sorsate >>.
A mia volta parlai e dissi:
<< Non c’è nulla da fare contro l’intelligenza. Ogni rivolta è impossibile >>.
<< Si, >> disse il pazzo << se si resta nel comune. Ma tu mi hai fatto vedere la mia stupidità quando pretendo di essere come tutti quanti. Non posso dimenticare la mia intelligenza se non restando me stesso. E allora perché analizzare, perché rivoltarsi? Vivere non è già una rivolta sufficiente? >>
Sebbene fossi preparato a questi capovolgimenti, non potei impedirmi di ridere, e lui, estasiato, esclamò:
<< Vedi, ridere dovrebbe essere la nostra unica preoccupazione. Ma al riso si attribuisce non so quale degradazione. Per l’uomo un sentimento è bello, amore, odio, sacrificio, solo se bagnato di lacrime. Non è assurdo? E se a me piace odiare ridendo? >>.
Il pazzo riprese:
<< Vedi, la mia felicità sta nel mio oblio. La riconosci con me. Devo insegnare questa verità agli uomini >>.
E se ne andò.
Spossato, lo avevo guardato andarsene. Ammiravo quella giovinezza e quell’amore, ma non avevo la forza di agire come lui. Il richiamo del mio futuro, l’angosciosa preoccupazione di dimenticare il mio passato: di nuovo agitavo in me questi affanni.

[PRIMA PARTE]

domenica 1 giugno 2008

4.30: la getto, di notte, di getto


in un misero secondo
tutto può accadere
ed un anno è formato
da tanti secondi
miseri
e a parte questo
c’è la vita
e la morte
che duellano
instancabilmente
mentre c’è chi si chiede
che senso ha tutto questo
tipo: bagnarsi in una folla
che cresce mentre tutto
appare uguale, anche in uno stato
di percezione diversa da questa
mentre tutto appare uguale
anche se in forma diversa
e ti ritrovi
dentro ad numero esiguo
di facce consolatrici
appoggiato ad un muro
che ti sorregge, stanco
per aver sorretto troppo
il peso dei tuoi dubbi
o delle tue verità
e poi ti ritrovi a pisciare sempre
dietro quel cespuglio
in cui trovi, da anni
sempre
lo stesso secchio
dello stesso netturbino
per poi convincerti che sia
il secchio dei tuoi sogni
e sei lì
circondato da bellezze
su cui puntare le tue fantasie erotiche
vuote come le palle che vorresti avere
ma che per un motivo o per un altro
mantieni piene
senza prestargli troppa fede
che la fede lo sai
in fondo non ti serve
perché sai riflettere
ma ti serve soltanto
qualcosa che sia simile al niente
poichè nel niente fluttui bene
cercando di annientarti
nell’attesa che questo sogno
chiamato vita
prenda una forma concreta
e a parte questo
ti limiti a scrivere
o a pensare
o a discutere
o a convincerti
che tutto sia un passaggio a livello
anche se tutto sommato
potrebbe esse peggio
e magari, forse, se al peggio non c’è mai fine
per antitesi
al meglio c’è sempre un inizio
e non si è sempre sicuri
che l’inizio sia una griglia di partenza
perché si gira intorno al mondo
e casca il mondo
casca la terra
tutti giù per terra
e tutto appare
perfetto
come del resto l’imperfezione
visionando il contorno delle sensazioni
che non so esattamente cosa voglia dire
anche se l’intuisco
e del resto m’importa un cazzo
del senso relativo
o oggettivo
di queste mie parole scritte di getto
perché me ne fotto
in quanto mi piace giocare
a fare il matto
e me ne fotto, come ho detto
se ho trovato una rima
o se è lei ad aver trovato me

ed il tempo che è maestro a me s’inchina
e basta.

sabato 17 maggio 2008

La fame non aspetta di antonin artaud

Decongestionare l’Economia vuoi dire semplificarla, filtrare il superfluo perché la fame non aspetta.

Così poco inclini come siamo ad occuparci’ d’Economia, è sotto il suo aspetto Economico ed esclusivamente Economico che la situazione attuale ci colpisce, e lo fa in maniera pressante, angosciante, richiedendo soluzioni immediate, se non vogliamo che siano gli avvenimenti a imporci le loro soluzioni, che sarebbero disastrose, ma probabilmente decisive. E la questione che si pone è quella di sapere se bisogna provare a orientarli, gli avvenimenti, accelerandone il ritmo nel loro verso, o se per caso non valga la pena di lasciarli correre, fino a che l’ascesso si svuoti da sé, una volta per tutte, e per davvero.

Possiamo affidare al caso, certo, il compito di giungere a soluzioni estreme; ma non è affatto certo che il caso non guidato faccia bene e completamente quanto deve, ma un intervento, poiché un intervento è inevitabile e necessario, potrebbe darsi, per essere al contempo efficace e decisivo, solo nel senso di un certo numero di necessità naturali e fiutando gli avvenimenti.

Che la situazione sia grave, angosciante, e ancor più che angosciante, minacciosa, nessuno lo negherà e forse non dipende ormai più da noi il fatto che diventi, dall’oggi al domani, catastrofica. Qualunque cosa avvenga, c’è un certo numero di fatti elementari che è indispensabile che siano da tutti compresi, per contenere o precedere il disastro, e in tal caso farlo evolvere in un corso vantaggioso e comunque efficace perché se ne tragga il maggior vantaggio.

Si sa che quest’anno, come “tredicesima”, i salari sono stati ridotti qui dei 10, altrove dei 20%, e questo in modo unanime, in tutta la Francia.

In questa notte di fine d’anno, prima dell’anno nuovo che non osiamo più sperare si conduca meno fiaccamente e meno … dei precedente, sappiamo che la maggior parte dei teatri di Parigi ha registrato incassi che si possono considerare i peggiori dell’anno e per i cinema gli incassi sono diminuiti, in rapporto alla vigilia di Natale, di un sesto.

Otto giorni fa, il maggior industriale serico di Lione, Gillet, la cui azienda era vecchia di oltre un secolo, è fallito, accusando una perdita di capitale di un miliardo, e lasciando sul lastrico più di tremila operai.

Lo Stato non concede sussidi di disoccupazione, ma le autorità locali, che non vogliono lasciar morire di fame i trecentomila disoccupati della regione parigina, prendono, da casse di mutuo soccorso frettolosamente messe in piedi, da sei a otto franchi al giorno che distribuiscono a ogni disoccupato, che per poco che tenga famiglia ha a mala pena di che conservare forza sufficiente per vedersi lucidamente morire di fame. Questa è la soluzione come si mostra ai non prevenuti e agli ignoranti. Ma questi elementi sono insufficienti per sbattere, davanti agli occhi di chi non ha paura di affrontare la verità, il quadro premonitore di immense, inevitabili e indubbiamente salutari, perché necessarie, rivoluzioni.

Capitalizzare la fame.

Ascanio Celestini: il Razzismo

accompagno il video con alcune parole prese qua e là nel web:

Per capirlo bisogna fare uno sforzo d'immaginazione. E pensare di essere un italiano emigrato in Francia o negli Stati Uniti. Di avere un lavoro regolare, una casa, una famiglia. E di vedere sui giornali e in tv gente che parla dell'emergenza degli italiani, degli italiani tutti criminali, di come rimandare a casa gli italiani. Più o meno così deve sentirsi un cittadino rumeno che ha deciso di venire a vivere in Italia: come un ospite indesiderato. I libri di storia ci insegnano che quando un gruppo di persone identificato in base alla religione, alla nazionalità o al colore della pelle diventa il bersaglio delle paure e delle tensioni della collettività, si annunciano tempi bui. Per questo il modo in cui un paese affronta l'immigrazione e in generale il rapporto con le minoranze di tutti i tipi è uno degli indici più chiari del grado di civiltà e di sviluppo della democrazia. - (Giovanni De Mauro www.internazionale.it/sommario/)
"il governo spagnolo respinge la violenza, il razzismo e la xenofobia e, pertanto, non può condividere ciò che sta succedendo in Italia. La Spagna lavora a una politica dell'immigrazione legale e ordinata, che permetta il riconoscimento di diritti e doveri". Esistono, ha ricordato ancora, "meccanismi legali per arginare l'immigrazione clandestina. Sono questi i meccanismi da utilizzare, e non altri". (Maria Teresa Fernandez de la Vega www.repubblica.it)

sabato 26 aprile 2008

malintesi

Scivolo via da te, oggi, mondo di piombo
E non c’è una ragione, non una spiegazione
Evado gli sguardi, le domande, la noia
Di un televisore acceso in una stanza piena
Di crani in cerca di lobotomia
E mi rifugio dentro questo tedio esteriore
Disturbato da qualche rumore improvviso:
bocche che ridono, moto che passano
una porta che s’apre per poi richiudersi
e lei che appare chiedendomi:
“cos’hai? Sembri annoiato”.
E’ possibile che alcuni confondano
La noia con la tranquillità dell’io
E così resto seduto rispondendo soltanto:
“va tutto bene, oggi ho voglia soltanto di me”.
Poi riprendo il volo ed arrivo in cima al mio ego
Che riderebbe se non fosse troppo occupato
A scoparsi la lucidità mascherata da silenzio.

domenica 6 aprile 2008

Mauro Macario "gerarchie"


Dagli un cappello
e una paletta
che sia vigile
usciere
o bidello
si sentirà un generale

pensa ai generali
che si sentono Dio
e scatenano sulla terra
l'inferno preventivo
per riportare la democrazia
dagli ossari comuni
alla Borsa di Wall Street
ogni litro di benzina
è succo di bimbo
un pieno corrisponde
a un asilo frullato

poi inorridiamo
al traffico d'organi

sabato 5 aprile 2008

Edoardo Bennato "Affacciati"


Affacciati affacciati
facci sapere quanto siamo cattivi
affacciati affacciati
non ti stancare...

Affacciati affacciati
dicci che va a finire male
affacciati affacciati, non ti stancare.

Affacciati affacciati
benedici noi e tutti i cattivi
che continuano a seminare il male
affacciati affacciati dai non ti stancare...

Affacciati affacciati
e facci uno dei tuoi discorsi
sulla pace universale...
affacciati, affacciati dai non ti stancare

Affacciati affacciati
con i tuoi gesti larghi
e con i tuoi vestiti bianchi...

Affacciati affacciati
benedici, guardaci!
guardaci...guardaci!

Affacciati affacciati
benedici, guardaci!
guardaci...guardaci!
tanto sono quasi duemila anni
che stai a guardare...

Affacciati, affacciati!...